giovedì 4 settembre 2014

Recensione del Mein Kampf, George Orwell


È segno della velocità a cui gli eventi si evolvono che l’edizione integrale del Mein Kampf a cura di Hurst and Blackett, pubblicata solo un anno fa, è redatta da un punto di vista a favore di Hitler. L’intenzione ovvia che traspare dalla prefazione e dalle note del traduttore è di livellare la ferocia del libro e presentare Hitler in una luce il più favorevole possibile. Poiché all’epoca Hitler era ancora rispettabile. Aveva distrutto il movimento sindacale tedesco e per ciò le classi abbienti erano disposte a perdonargli quasi tutto. Sia la Sinistra che la Destra concordavano nella nozione frivola che il Nazionalsocialismo non fosse altro che una versione del Conservatorismo.

Poi all’improvviso si scoprì che Hitler non era rispettabile, dopotutto. Come risultato, l’edizione di Hurst and Blackett fu ripubblicata con una nuova sovraccoperta in cui si spiegava che tutti i profitti sarebbero stati devoluti alla Croce rossa. Tuttavia, basandosi semplicemente sulle prove interne al Mein Kampf, è difficile che si sia verificato un qualche cambiamento reale nelle mire e nelle opinioni di Hitler. Se si paragonano le sue esternazioni di un anno fa o giù di lì con quelle di quindici anni prima, ciò che colpisce è la sua rigidità mentale, il modo in cui la sua visione del mondo non si sviluppa. È una visione fissa di un monomaniaco e che non è probabile che sia molto influenzata dalle manovre temporanee della politica di potenza. Probabilmente, nella mente di Hitler, il Patto russo-tedesco non rappresenta altro che un’alterazione della sua tabella di marcia. Il piano delineato nel Mein Kampf consiste nel distruggere per prima la Russia, con l’intenzione sottintesa di distruggere l’Inghilterra in seguito. Ora, come si è rivelato, è dell’Inghilterra che bisogna occuparsi per prima, perché tra le due è stata la Russia ad essere più facilmente corrotta. Ma il turno della Russia giungerò quando l’Inghilterra sarà fuori dai giochi: è così, senza dubbio, che la vede Hitler. Se ciò si avvererà è ovviamente un’altra questione.

Immaginiamo che il programma di Hitler possa venire attuato. Ciò che si prefigura, fra cento anni, è uno stato perpetuo di 250 milioni di tedeschi con un sacco di “spazio vitale” a disposizione (ovvero espandersi fino all’Afghanistan o giù di lì), un orribile impero senza cervello in cui, essenzialmente, non accade mai nulla se non l’addestramento dei giovani alla guerra e la procreazione infinita di carne da cannone fresca. Com’è riuscito a propagandare questa visione mostruosa? È facile dire che a un punto della sua carriera sia stato finanziato dagli industriali pesanti, che avevano visto in lui l’uomo che avrebbe spazzato via i socialisti e i comunisti. Non l’avrebbero sostenuto, tuttavia, se non avesse già creato un grande movimento. Ancora una volta, la situazione in Germania, con i suoi sette milioni di disoccupati, era ovviamente favorevole per i demagoghi. Ma Hitler non avrebbe avuto successo contro i suoi molti rivali se non fosse stato per l’attrattiva del suo stesso carattere, che traspare persino dalla scrittura sgraziata del Mein Kampf e che è senza dubbio sopraffacente quando si ascoltano i suoi discorsi… Il fatto è che c’è qualcosa di profondamente attraente in lui. Lo si avverte di nuovo al vedere le sue fotografie; e vi raccomando in particolare la fotografia all’inizio dell’edizione di Hurst and Blackett, che mostra Hitler nei primi giorni delle Camicie Brune. È un volto patetico e cagnesco, il volto di un uomo che soffre il peso di torti intollerabili. In un modo piuttosto più mascolino riproduce l’espressione di innumerevoli immagini del Cristo crocifisso e vi è poco dubbio che è così che Hitler si vede. La causa iniziale e personale del rancore che serba nei confronti dell’universo può essere solo immaginata, ma è indubbio che quel rancore ci sia. È il martire, la vittima, Prometeo incatenato alla roccia, l’eroe abnegante che combatte a mani nude nonostante uno svantaggio impossibile. Se stesse ammazzando un topo saprebbe fare in modo che appaia come se stesse uccidendo un drago. Si ha la sensazione che, come nel caso di Napoleone, stia lottando contro il destino, che non può vincere, eppure che se lo meriti, in qualche modo. L’attrazione di una tale visione è certamente enorme: metà dei film che si vedono trattano uno di tali temi.

Ha anche colto la falsità dell’atteggiamento edonistico nei confronti della vita. Quasi tutto il pensiero occidentale, a partire dall’ultima guerra, e in particolare tutto il pensiero “progressista”, ha presupposto tacitamente che gli esseri umani non desiderino nient’altro che vada al di là dell’agiatezza, la sicurezza e l’evitare il dolore. In una tale visione della vita non vi è posto per, ad esempio, il patriottismo e le virtù militari. Il socialista che vede i suoi figli giocare con i soldatini ne è solitamente irritato, ma non è mai in grado di trovare un sostituto per i soldatini di latta: i pacifisti di latta non vanno bene, non si sa perché. Hitler, poiché nella sua propria mente senza gioia lo sente con forza eccezionale, sa che gli esseri umani non vogliono solo i conforti, la sicurezza, una giornata lavorativa breve, igiene, controllo delle nascite e, più in generale, buon senso; vogliono anche, almeno a intermittenza, lottare e abnegarsi, senza nemmeno considerare i tamburi, le bandiere e le parate militari. Nonostante ciò che possono essere come teorie economiche, il fascismo e il nazismo sono psicologicamente molto più solide di ogni concezione edonistica della vita. Lo stesso è probabilmente vero della versione militarizzata del socialismo di Stalin. Tutti e tre i grandi dittatori hanno guadagnato potere imponendo pesi intollerabili sui propri popoli. Mentre il socialismo e persino il capitalismo, in maniera più riluttante, hanno detto alla gente “vi propongo di star bene”, Hitler ha detto loro “vi offro stenti, pericolo e morte” e di conseguenza un’intera nazione si inchina ai suoi piedi. Forse in futuro se ne stuferanno e cambieranno idea, come alla fine dell’ultima guerra. Dopo qualche anno di massacri e fame “La maggior felicità per il maggior numero” è un buono slogan, ma in questo momento è “Meglio una fine orrenda che un orrore senza fine” a vincere. Adesso che combattiamo contro l’uomo che l’ha coniato, non dobbiamo sottovalutare il suo fascino emotivo.

domenica 13 luglio 2014

giovedì 10 luglio 2014

Due minuti d'odio giornalieri

Oggi ho deciso che sfogherò il mio odio, la mia rabbia e la mia frustrazione su una particolare categoria: i neozelandesi di origini ungheresi. Vi odio, con tutto il cuore.

mercoledì 9 luglio 2014

Giornalismo: Lo stai facendo sbagliato

A volte, capita che una persona possa scegliere la carriera sbagliata. Capita, per l’amor del cielo. Eppure, pare che il giornalismo sia il campo in cui queste persone decidono di incontrarsi per un aperitivo. L’esempio più lampante è costituito dagli articoli inutili e\o scritti male che solitamente vengono pubblicati con l’user Redazione. Oggi abbiamo un esemplare interessante, questo articolo qui, pubblicato su Blitz Quotidiano. Lo metto in FreezePage, non sia mai che qualcuno alla redazione di Blitz Quotidiano abbia un’improvvisa botta di rinsavimento e decida che è meglio non pubblicare certe str****te.
La notizia di per sé non è falsa, il problema sta nel pubblicare qualsiasi stronzata, tanto per generare traffico. L’articolo di per sé è preso da una testata americana, per la precisione WVUE, una emittente locale di New Orleans affiliata con Fox News, la stessa Fox News conservatrice e bigotta. Non pare strano che abbiano deciso di pubblicare un articolo del genere. Tra l’altro, la chiusura è nello stile più pubblicitario che esista. Poco ci mancava che mettessero l’indirizzo completo. Di certo, il signor Gino Marino ha avuto un bel po’ di pubblicità gratuita. Chiamiamolo fesso.

E tuttavia, anche se Blitz Quotidiano avesse pubblicato un articolo del genere, la cosa poteva andare anche benino. Sarebbe stato l’ennesimo articolo di cui ci saremmo dimenticati nel corso di un giorno o due. E invece no; hanno dovuto metterci del loro per scriverlo con i piedi.
Innanzitutto, Baton Rouge non si trova in California. La mia teoria è che il loro articolista abbia visto scritto LA e hanno pensato “Dev’essere la sigla della targa. LA sono le iniziali di Los Angeles, allora il fatto è avvenuto a Los Angeles”. Il problema, caro il mio articolista sottopagato (almeno, mi auguro che tu sia sottopagato, altrimenti stai letteralmente rubando lo stipendio a qualcuno più capace di te) è che le sigle, negli Stati Uniti, si riferiscono agli Stati, non alle città. Se tu ti fossi preso la briga di cercare Baton Rouge LA su Google Maps, ti saresti accorto che questa cittadina si trova vicino New Orleans. Dall’altra parte degli Stati Uniti.
Poi, non è assolutamente vero che le melanzane formavano la parola “GOD” (e sulle somiglianze con la parola ci sarebbe molto di cui discutere), bensì erano i semini stessi a formarla.
La fetta di melanzana (riporto dall’articolo originale, sliced eggplant) era tagliata nel senso della larghezza. Tutti gli studenti di botanica, ma anche chiunque abbia mai visto da vicino una melanzana, sa che i semi si distribuiscono all’interno del frutto in cilindri. La melanzana in questione ne aveva tre, tutto qui. L’aver visto la parola GOD non è altro che un fenomeno di pareidolia, il più noto dei quali è forse il volto su Marte. Il mondo, infatti, è un posto complesso e le informazioni su di esso che abbiamo spesso sono incomplete e confuse. Noi siamo creature semplici e ci accontentiamo di poco: per questo, il nostro cervello tende a semplificare la percezione della realtà, per dare ordine a stimoli che non ne hanno. Per questo motivo vediamo la sagoma dell’America in una macchia di muffa, o un drago in una nuvola (anche se qualcuno ci vede le sciikimiki).


Ah, e comunque la virgola tra “in California” e “non riusciva a credere ai suoi occhi” non ci va. Non stai subordinando una frase all’altra. Anzi, la frase non è nemmeno un periodo!

lunedì 7 luglio 2014

Storie di vita vissuta male: Herbalife

Il presente post è tratto da un commento che ho lasciato sul gruppo di Facebook "Perle Complottare". Lo ripropongo qui.

Sono stato invitato anche io a un incontro Herbalife, spinto dai miei genitori (avete presente il tipo di genitori che ti ricordano ogni due giorni di fare il concorso per le poste? ecco, quelli) che hanno trovato nella cassetta postale un foglietto fotocopiato e tagliato con le forbici (male) con su scritto "Cerchi un lavoro? Chiedimi come".
Essendo troppo giovane per ricordarmi dei manifesti "Vuoi dimagrire? Chiedimi come" ci andai con una punta (ma proprio poca, eh) di scetticismo.
"Qua la gente si scanna per un posto al call center e questi qua danno lavoro a destra e a manca?", mi domandai. Ma ci andai ugualmente, più che altro per accontentare i miei.
All'inizio sembrava una specie di "presentatore Avon". Poi cominciò il delirio. Capitemi, le presentatrici Avon sono fastidiose, ma tutto sommato innocue.
MA
il tizio, coadiuvato dalla consorte e da una ragazza (che poi si scoprì essere una sottoposta della coppia, ma andiamo con ordine) comincia a parlare del fatto che fai colazione e poi verso le undici ti viene appetito. Invece c'è un modo per mangiare una sola volta e non avere il famoso "hole in the stomach". Per l'hole in the ass non c'è ancora soluzione, purtroppo.
Poi la botta. BAM. Ex AD di Disney e come consigliere scientifico un premio nobel (Louis Ignarro). "Allora deve essere una cosa seria!", avrà pensato qualcuno nella saletta. Io invece mi chiedevo che cazzo c'entrasse la Disney con tutto ciò.
Col senno di poi mi viene da chiedermi cosa spinge un professionista stimato come un premio Nobel a darsi alla causa di Herbalife. Demenza senile? I SORDI? Entrambi? Non lo so.
Altro argomento: beviti il beverone Herbalife e dimagrisci o ingrassi, a seconda delle tue esigenze. Mostrano le foto di lui e della moglie al matrimonio, effettivamente grassocci, e dicono che sono dimagriti grazie a Herbalife, che Herbalife ha salvato loro la vita perché lui aveva una società e i suoi soci lo avevano lasciato in mutande. Tanto cuore e tanti sentimenti dolciosi, più di quando Francesca ci dice che vuole bene a tutti noi (ricambiata, ovviamente :)).
Poi fanno vedere la foto della ragazza che è in compagnia della coppia. In bikini. Magrissima. "Non riuscivo a prendere peso, sono sempre stata uno stecchino. Grazie a Herbalife sono riuscita nel mio intento. Grazie Herbalife".
L'ho squadrata dalla testa ai piedi. Non notavo la differenza. Forse avrà preso un etto, altro che miracoli, ho pensato.
Si passa agli effetti miracolosi di Herbalife: un tizio (o tizia, non si capiva, il tizio non era ripreso in volto) aveva la psoriasi. Prima aveva il classico gomito grigio e a bozza tipico della malattia, poi al posto dei bozza erano comparse delle chiazze rosse che il rappresentante Herbalife chiamava "macchie di guarigione". Quando chiesi a mio papà cosa fossero realmente le macchie rosse, mi rispose che era sintomo che la malattia si stava aggravando. Andiamo bene.
Però anche TU puoi diventare ricco e formoso (o poco formoso)! Ti basta comprare da me il beverone(TM) e gli altri vedranno che funziona. Poi dovrai solo rompere il cazzo a tutti i tuoi parenti e amici e convincerli a comprarlo da te. Così poi Herbalife ti dà anche l'1% del suo capitale sociale. E l'1% di 400 milioni di dollari sono un bel po' di soldi (giuro, ha detto così).
Applausi, a cui mi unii perché, da genio quale sono, mi ero seduto in seconda fila e la prima era vuota.
Uscii da quella saletta frastornato. Com'era possibile che la gente che aveva assistito con me si stesse bevendo tutte quelle che EVIDENTEMENTE erano un mucchio di stronzate? E badate bene che all'epoca leggevo il fatto, simpatizzavo per Grillo ed ero lievemente tendente al complottiamo.

Epilogo:
Un paio di mesi dopo il tizio mi chiama (ci avevano chiesto i numeri telefonici e io come un pirla gli avevo dato quello vero) chiedendomi se sono interessato. "No, grazie, ormai sono all'Università e ho trovato un lavoretto a Catania." Palla colossale (il lavoretto, non l'Università), ma non volevo avere nulla a che fare con Herbalife. Il tizio si è lasciato sfuggire un sospiro molto eloquente riguardo alla precarietà dei mezzi di sostentamento dei rappresentanti HL. Mi ha fatto un sacco di pena, ad essere sincero.
"Puoi chiedere a qualche tuo amico se è interessato?"
"Posso provare, ma non le prometto nulla."

Epiogo 2:
Passa qualche mese, vedo la moglie del tizio all'Eurospin. Nemmeno saluta. Probabilmente non si ricorda di me. O forse è veramente depressa. Ha una camminata cadente, sembra quasi che stia per stramazzare a terra da un momento all'altro.

Epilogo 3:
Qualche anno dopo, vidi una macchina con una decalcomania che copriva gran parte del lunotto posteriore. "Vuoi dimagrire? Chiedimi come!"
Su una Punto prima serie. Sarebbe troppo facile ironizzare su questo fatto; d'altro canto la primissima macchina che ho guidato è stata la Punto di mia mamma. Ma... E l'1% del capitale sociale?

giovedì 19 giugno 2014

DreadOut in italiano

Oggi è stato rilasciato su Steam l'aggiornamento 1.5.2 di DreadOut che, tra le altre cose, include la localizzazione in italiano.

Qui l'annuncio su Steam.

martedì 10 giugno 2014

The Republia Times: Traduzione Italiana

LocJam è terminata e i vincitori sono stati annunciati. Purtroppo non ho vinto, ma pazienza: alla fine si è trattato di una competizione il cui scopo principale era quello di divertirsi e ho imparato moltissimo da questa esperienza.
Ho pensato di condividere con i lettori di questo blog la mia versione, disponibile cliccando qui o sul link in alto a destra.
Ovviamente, commenti, consigli e critiche sono ben accetti. (:

martedì 27 maggio 2014

Il complotto americano per far vincere il PD


Questa è bellissima, gente. Gira su Facebook un'immaginetta fatta in due secondi netti su Paint secondo la quale ci sarebbero stati dei brogli ai danni del Movimento 5 Stelle da parte del PD con la complicità di un'azienda americana di nome Scytl, “colpevole” di dover gestire il conteggio dei voti e, a detta dell'immaginetta di Paint, coinvolta in brogli elettorali negli USA.
Sarà proprio così? Vediamo.
Scytl, a detta del suo sito web, è un'azienda spagnola con sede a Barcellona. Ha una sede negli Stati Uniti e una in Messico, vero, ma la sede centrale è a Barcellona. Vado su Wikipedia e rimango stupito: Barcellona è in Sicilia. Allora Scytl è PVRA RAZZA ITALIOTA!!!1!ONE! Quel “Pozzo di Gotto” non conta. Cazzate a parte, Scytl non è americana. Punto.
Il sito della compagnia contiene anche la lista dei clienti, tra cui figurano numerosi Stati degli USA, alcune istituzioni europee e l'Unione Europea stessa. Non vi è traccia della Repubblica Italiana, nemmeno a cercarla col lumino. Incuriosito, clicco sul link che porta alla pagina dell'EU e do una lettura ai servizi che Scytl le ha offerto.
Ora, non sarò tutta quest'arca di scienza, ma il mio lavoro so farlo abbastanza bene e questo presuppone il capire benino l'inglese. Sul sito di Scytl non vi è semplicemente traccia di niente di ricollegabile alle elezioni europee appena svoltesi.
Abbiamo, in ordine:
  • una piattaforma virtuale (parrebbe una specie di social network) per facilitare la collaborazione a distanza tra membri del parlamento;
  • un servizio per facilitare la comunicazione tra la società civile e i rappresentanti eletti. Lo Yahoo Answers dell'EU, in pratica;
  • un sistema per rendere più flessibile la presa di decisioni riguardanti l'educazione universitaria europea nel suo complesso;
  • un sistema elettronico di riconoscimento per i cittadini dell'Unione Europea che vivono al di fuori del proprio stato di origine (carta d'identità elettronica, anybody?);
  • un coso che non si capisce bene cos'è perché è scritto tipo supercazzola maperò se fai una ricerchina su Google di dieci secondi netti capisci a cosa serve e capisci anche che non c'entra un ca**o con le elezioni.
Riferimenti al conteggio dei voti, in Italia o nel resto d'Europa: zero.

Passiamo ora alla cosa più interessante: i famigerati “brogli negli Stati Uniti”. Per dirla in poche parole: non esiste nulla su Internet che parli di alcun broglio. Addirittura in un articolo si parla senza mezzi termini di complottismo riguardo al fatto che “gli stranieri prenderanno il sopravvento della politica americana”. Per ulteriori chiarimenti, vi rimando a questo articolo su Real Clear Politics.

Ora, se hai cliccato sul link che ti ha portato a questa pagina sperando di trovare le prove di un gombloddoh nei confronti del tuo partito del cuore, lascia che ti dica, con tutto il bene che ti voglio (molto poco, probabilmente), che sei un coglione.
Sì, sei un coglione. E non me ne frega un cazzo se hai un dottorato in fisica. Puoi avere un dottorato ed essere coglione.
In definitiva, caro boccalone, smettila di fidarti di immaginette trovate su Facebook.
Ma non preoccuparti. Ti voglio bene lo stesso. Minoreditré.

giovedì 15 maggio 2014

[TUTORIAL] Icone sul Desktop in Ubuntu

Lo ammetto: sono uno dei pochi folli che apprezzano l'interfaccia Unity, pur riconoscendone i limiti (alcuni anche parecchio gravi). Credo di capire quale sia il motivo dietro l'insoddisfazione di molti utenti nei confronti di quest'interfaccia: è molto diversa da ciò a cui molti sono abituati, anche perché chi arriva a Ubuntu lo fa passando da Windows ed essendosi quindi abituato all'interfaccia di questo sistema operativo. Unity, invece, è un qualcosa di completamente diverso dall'interfaccia che l'utente medio (soprattutto quello alle prime armi) è abituato a usare.
Uno dei punti di forza di Linux, tuttavia, è la sua grandissima flessibilità: chi non apprezza Unity o chi non riesce proprio a orientarcisi può installare uno dei tantissimi ambienti desktop disponibili. Alcuni sono addirittura inclusi nei repository ufficiali di Ubuntu, quindi l'installazione è semplicissima.
A tal riguardo, chi è in cerca di un'interfaccia simile a quella di Windows può usare KDE (che già di suo è abbastanza simile a Win) o Xfce (smanettando un po' con i pannelli è possibile replicare quasi perfettamente la barra di Windows).
Rimane però un problema davvero fastidioso: la mancanza di un metodo facile e veloce per creare collegamenti sul desktop (o, come si chiamano su Linux, lanciatori). Quando Ubuntu aveva come interfaccia predefinita GNOME 2 era possibile crearli cliccando col tasto destro del mouse su uno spazio vuoto del desktop e selezionando “Crea nuovo lanciatore”, mentre adesso no.
C'è una buona notizia: crearne uno è abbastanza semplice, anche se un tantino macchinoso. Tutto questo grazie alla conformità di Unity con lo standard FreeDesktop.

Cos'è FreeDesktop?
È un progetto che mira ad ottenere l'interoperabilità tra i desktop che utilizzano l'X Windows System. In pratica, il loro scopo è quello di consentire a desktop diversi, ma che utilizzano il Sistema X, di usare gli stessi standard per cose come le icone del desktop, le finestre, ecc.
FreeDesktop fornisce un modello standard per la creazione di file di configurazione del desktop, che utilizzano il formato .desktop (ma va?).

Come creare un lanciatore in Unity, allora?
Come ho anticipato prima, le icone del desktop che avviano un programma o eseguono un comando sono in formato .desktop. Essenzialmente, si tratta di un file di testo contenente alcune informazioni, alcune indispensabili, altre no. Per evitare di fare troppa confusione, ne riporto solo alcune importanti. Una lista completa è disponibile (in inglese), sul sito ufficiale di FreeDesktop.

[Desktop Entry]
Version=1.0
Name=
GenericName=
Comment=
Keywords=
Exec=
Icon=
Terminal=
Type=
Categories=

Per creare un'icona sul desktop, basta cliccare col tasto destro del mouse su un'area vuota e selezionare Crea Nuovo Documento → Documento vuoto. Apriamo il file appena creato e incolliamo il template qui sopra. In Name occorre inserire il nome del programma (ad esempio, Terminale). GenericName non è obbligatorio, ma fa figo inserirlo. Nel caso del Terminale, è possibile inserire qualcosa come “Emulatore di terminale” o giù di lì. Comment equivale al campo Descrizione presente nelle proprietà dei collegamenti di Windows. Pur non essendo obbligatorie, è buona norma elencare alcune parole chiave in Keywords come, per esempio, emulatore, terminale, uxterm, terminator. Il campo Exec è il più importante: in esso va specificato il percorso del programma che intendiamo aprire oppure, più semplicemente, il comando usato per aprirlo nel terminale. Se non siete sicuri quale sia questa stringa, è possibile trovarla in Ubuntu Software Center: cercate il programma di cui intendete creare un'icona sul desktop e, nella pagina del programma, cercate la dicitura Versione, riportandola nel campo Exec senza il numero di versione (vedi sotto).
La stringa evidenziata indica il comando per lanciare l'applicazione da terminale e il suo numero di versione. All'interno del file di configurazione del desktop bisogna specificare, in questo caso, il comando terminator senza inserire il numero di versione.
Nel nostro esempio, stiamo cercando di aprire il programma Terminator, dunque inseriremo la dicitura terminator. Icon serve, com'è facile intuire, a specificare quale icona avrà il lanciatore. Solitamente, tutte le icone dei programmi disponibili per l'installazione (inclusi quelli degli eventuali repository che abbiamo aggiunto) sono presenti nella cartella /usr/share/app-install/icons/. Il file .desktop assume implicitamente che il percorso sia quello, quindi è possibile, ad esempio, specificare soltanto il nome dell'icona seguita dall'estensione. Nel nostro caso, terminator.png. Terminal specifica se il comando che abbiamo intenzione di eseguire cliccando due volte sull'icona debba essere eseguito in una finestra di terminale. Solitamente bisogna assegnargli il valore false, tranne nel caso in cui il comando sia eseguibile soltanto in linea di comando.
NOTA: Anche nel nostro esempio dovremo assegnargli il valore false, altrimenti verrà aperta una finestra di terminale al cui interno verrà lanciata un'altra istanza del terminale, come in questo caso.
Impostare Terminal = true in un lanciatore per l'emulatore di terminale fa sì che si aprano due finestre di terminale, come in questo caso.

In Type va specificato se l'icona del desktop rappresenta un'applicazione (Application), un collegamento (Link) o una cartella (Directory). Va da sé che, nel caso di collegamenti e cartelle, non vada specificato il campo Exec. Infine abbiamo Categories, che rappresentano le categorie in cui è presente il file del desktop (ad esempio, Accessori).

Una volta creato il nostro file del desktop e inserito tutti i dati, possiamo salvarlo e chiudere la finestra dell'editor di testo. Ora, clicchiamo col tasto destro del mouse e selezioniamo Proprietà. Nel campo nome, sostituiamo il nome predefinito con quello della nostra applicazione, seguito dall'estensione .desktop. Ubuntu si occuperà di convertirlo in un file del desktop. Ora andiamo nella scheda Permessi e spuntiamo la casella Consentire l'esecuzione del file come programma. Et voilà, abbiamo creato un nuovo collegamento sul desktop. Per velocizzare il tutto, possiamo creare un modello che ci consenta di avere subito pronta “l'ossatura” del file. Per farlo, apriamo Nautilus e andiamo in /home/nomeutente/Modelli, creiamo un documento vuoto, rinominiamolo File del Desktop, apriamolo e incolliamoci il template riportato qua sopra.
I più pigri, invece, possono scaricare un file di modello già fatto qui.
Il modello non è in formato .desktop perché questo tipo di file non è normalmente modificabile in un editor di testo tramite interfaccia grafica. Infatti, per poterlo modificare, è necessario aprire il terminale e digitare il comando

sudo gedit /home/nomeutente/Scrivania/nomefile
Dover seguire questa procedura rende parzialmente nullo il beneficio di poter modificare il file direttamente dal desktop, ecco perché il modello è senza estensione.
Una volta modificato il file creato da modello, è sufficiente andare in Proprietà e aggiungere al nome del lanciatore .desktop.
Piccola nota di chiusura: se abbiamo sbagliato il nome e\o il percorso del file immagine per l'icona non è un dramma: in Proprietà basta cliccare sul riquadro contenente l'icona attuale e cercarla nel file manager. Come ho anticipato prima, la maggior parte (se non tutte) delle icone dei programmi presenti nei repositori sono presenti nella cartella usr/share/app-install/icons.

martedì 29 aprile 2014

La Politica e la Lingua Inglese


La maggior parte di chi si preoccupa affatto del problema ammetterebbe che la lingua inglese è in una brutta situazione, ma generalmente si presume che non ci sia nulla che possiamo farci per mezzo di un'azione consapevole. La nostra civiltà è decadente e la nostra lingua (è questo l'argomento) deve inevitabilmente seguirla nel collasso generale. Segue che qualsiasi resistenza contro l'abuso della lingua sia un arcaismo sentimentalista, come il preferire le candele alla luce elettrica o i calessi agli aeroplani. Al di sotto di ciò si nasconde la credenza semi-consapevole che la lingua sia un'evoluzione naturale e non uno strumento cui diamo forma per i nostri scopi.

Ora, è chiaro che il declino di una lingua debba avere in ultima analisi cause economiche e politiche: non è semplicemente a causa della cattiva influenza di questo o quel singolo scrittore. Ma un effetto può divenire una causa, rinforzando la causa originaria e producendo lo stesso effetto in forma intensificata e così via, all'infinito. Un uomo può cominciare a bere perché si sente un fallito e divenire un completo fallito perché beve. È la medesima cosa che sta accadendo alla lingua inglese. Diviene brutta e imprecisa perché i nostri pensieri sono sciocchi, ma la sciatteria della nostra lingua ci induce più facilmente a fare pensieri sciocchi. Il punto è che il processo è reversibile. L'inglese moderno, soprattutto quello scritto, è pieno di cattive abitudini che si diffondono per imitazione e che è possibile evitare se si ha la voglia di prendersi la briga. Se ci si libera di queste abitudini, si può pensare più chiaramente e ciò è il primo passo necessario verso una rigenerazione politica: cosicché la lotta contro il cattivo inglese non è frivola e non è preoccupazione esclusiva degli scrittori professionali. Vi ritornerò a breve e spero che nel frattempo il significato di ciò che ho detto sarà divenuto più chiaro. Nel frattempo, ecco cinque esemplari di come la lingua inglese viene abitualmente scritta.

I seguenti cinque passaggi non sono stati scelti perché sono particolarmente brutti (avrei potuto citare roba ben peggiore, se avessi voluto) ma perché illustrano numerosi tra i vizi mentali di cui soffriamo. Sono un po' al di sotto della media ma si tratta di esempi piuttosto rappresentativi. Li numero così da rendere più agevoli i riferimenti, quando necessari:
  1. Io non sono, ovviamente, certo se non sia vero l'affermare che il Milton che un tempo non sembrava dissimile a un Shelley del diciassettesimo secolo non fosse diventato, a causa di un'esperienza sempre più amara d'anno in anno, più alieno [sic] al fondatore della setta gesuitica che nulla potesse indurlo a tollerare.
    Professor Harold Laski
    Saggio sulla Libertà d'Espressione
  2. Soprattutto, non possiamo giocare a rimbalzello con una batteria predeterminata di modi di dire che prescrive collocazioni egregie di vocaboli come il semplice veder rosso in luogo di arrabbiarsi e fare il punto invece di riepilogare.1
    Professor Lancelot Hogben
    Interglossa
  3. Da un lato abbiamo la personalità libera: per definizione è non neurotica, poiché non ha né conflitti, né sogni. I suoi desideri, così come sono, sono trasparenti, poiché sono ciò che l'approvazione istituzionale tiene all'avanguardia della consapevolezza; un altro schema istituzionale ne altererebbe il numero e l'intensità; c'è poco in essi di naturale, irriducibile o culturalmente pericoloso. Ma d'altro canto, il legame sociale stesso non è altro che il maturo riflesso di queste integrità sicure in sé. Ricordate la definizione di amore. Non è questa l'immagine stessa di un piccolo accademico? Dov'è il luogo in questa sala degli specchi per la personalità o la fraternità?
    Saggio sulla psicologia in Politics (New York)
  4. Tutta la “gente migliore” dei club dei gentiluomini e tutti i frenetici capitani fascisti, uniti nell'odio comune nei confronti del Socialismo e dell'orrore bestiale di fronte alla marea crescente del movimento rivoluzionario di massa, si sono dedicati ad atti di provocazione, di schifosi attentati incendiari, di leggende medievali circa pozzi avvelenati, per legalizzare la distruzione da parte loro delle organizzazioni proletarie e hanno suscitato un fervore sciovinista presso i piccolo borghesi per conto della lotta contro la via rivoluzionaria per uscire dalla crisi.
    Pamphlet comunista
  5. Se bisogna infondere un nuovo spirito in questa vecchia nazione, vi è una riforma spinosa e contenziosa da affrontare, e cioè l'umanizzazione e la galvanizzazione della BBC. La timidezza sarà preambolo alla cancrena e all'atrofia dell'anima. Il cuore della Bretagna può pure essere solido e dal battito forte, ad esempio, ma il ruggito del leone britannico al presente è come quello di Fondo nel Sogno di una Notte di Mezza Estate di Shakespeare: soave come quello di una colomba. Una nuova Bretagna virile non può continuare a essere tradita agli occhi, o meglio, alle orecchie del mondo dai languori sorpassati di Langham Place, sfacciatamente mascherato come “inglese standard”. Quando la Voce della Bretagna si udrà, alle nove, molto più lontano e infinitamente meno ridicolo di sentire le acca onestamente ignorate rispetto all'attuale raglio moralista, inflazionato, inibito, da maestrine di scuola di irreprensibili signorine miagolanti!
    Lettera al Tribune

Ognuno di questi passaggi ha dei demeriti propri, ma, oltre all'evitabile bruttezza, sono comuni a tutti due qualità. La prima è la pesantezza delle immagini, l'altra la mancanza di precisione. Lo scrittore o ha un significato e non è in grado di esprimerlo, oppure dice inavvertitamente qualcos'altro, o è quasi indifferente al che le sue parole significhino qualcosa oppure no. Il miscuglio di vaghezza e incompetenza bella e buona è una delle più evidenti caratteristiche della prosa inglese moderna, soprattutto di ogni genere di scritto politico. Non appena di sollevano certi argomenti, il concreto si fonde con l'astratto e nessuno sembra essere in grado di concepire discorsi che non siano triti e ritriti: la prosa consiste meno e meno di parole scelte in virtù del loro significato, e sempre più di sintagmi messi assieme come le sezioni di un pollaio prefabbricato. Elenco qui sotto, corredati da note ed esempi, alcuni dei trucchi tramite i quali l'opera di costruzione della prosa viene abitualmente evitata:
Metafore morenti. Una metafora di recente invenzione aiuta il pensiero, evocando un'immagine visiva, mentre una metafora che è tecnicamente “morta” (p. es. “risoluzione ferrea”) è in effetti divenuta una parola ordinaria e generalmente può essere utilizzata senza perdita di vividezza. Ma nel mezzo di queste due classi c'è un enorme ammasso di metafore consunte che hanno perduto tutto il potere evocativo e sono usate meramente perché risparmiano al parlante il problema di inventare dei sintagmi da sé. Alcuni esempi sono: cambiare aria, imbracciare le armi, fare qualcosa in barba a qualcuno, stare spalla a spalla pescare in acque torbide, all'ordine del giorno, tallone d'Achille, canto del cigno, focolaio di.2 La maggior parte di queste vengono usate senza conoscerne il significato (ad esempio, cos'è una “rottura”?) e spesso vengono mischiate metafore incompatibili, segno sicuro che lo scrittore non è interessato a ciò che dice. Il senso originario di alcune di queste metafore è stato distorto senza che coloro che le utilizzano siano persino consci di ciò. Ad esempio, toe the line viene talvolta scritto come tow the line.3 Un altro esempio è quello dell'incudine e del martello, ad oggi usato costantemente che sia il martello ad avere la peggio. In realtà è sempre l'incudine a rompere il martello, mai il contrario: uno scrittore che ha smesso di pensare a ciò che dice eviterebbe di corrompere la frase originale.

Operatori o protesi verbali. Ciò risparmia l'affanno di scegliere i verbi e nomi appropriati e allo stesso tempo tappezzano ogni frase di sillabe extra che le donano una parvenza di simmetria. Frasi caratteristiche sono rendere inoperativo, militare contro, prendere contatto con, essere soggetto a, dare rilancio a, dare motivo di, avere l'effetto di, giocare un ruolo trainante in, avere effetto, esibire una tendenza a, servire lo scopo di, ecc. ecc. La nota fondamentale è l'eliminazione dei verbi semplici. Invece di usare una sola parola, come rompere, fermare, danneggiare, riparare, uccidere, un verbo diviene un sintagma composto da un nome o aggettivo unito a un verbo generico come dimostrare, servire, formare, giocare, rendere. Inoltre, la voce passiva viene usata ovunque possibile rispetto a quella attiva e si usano costruzioni nominali invece di gerundi (tramite esame invece di esaminando). La gamma di verbi viene ulteriormente limitata per mezzo delle formazioni in -izzare e in -de e viene conferita una parvenza di profondità alle affermazioni banali per mezzo della formazione in non + in-. Le congiunzioni e le preposizioni semplici vengono sostituite da sintagmi quali con riferimento a, visto il, il fatto che, a forza di, in vista di, nell'interesse di, ipotizzando che; e i finali di frase sono salvati dal climax discendente da luoghi comuni clamorosi come fortemente auspicabile, non è possibile ignorare, ci si aspettano sviluppi nel prossimo futuro, meritevole di considerazione, condotto a conclusione soddisfacente e così via.

Dizione pretenziosa. Parole come fenomeno, elemento, individuo, obiettivo, categorico, effettivo, virtuale, basilare, primario, promuovere, costituire, esibire, sfruttare, utilizzare, eliminare, liquidare vengono usate per imbellire un'affermazione semplice e donare un'aria di imparzialità scientifica a giudizi pregiudizievoli. Aggettivi come epocale, epico, storico, indimenticabile, trionfante, antico, inevitabile, inesorabile, genuino sono usati per dignificare il processo sordido della politica internazionale, mentre la scrittura che mira a glorificare la guerra prende solitamente una coloritura arcaica, le cui parole caratteristiche sono: regno, trono, carro, pugno di ferro, tridente, spada, scudo, stendardo, stivalone, squillante. Espressioni e parole straniere come cul de sac, ancien regime, deus ex machina, mutatis mutandis, status quo, gleichschaltung4, weltanschauung5 sono usate per dare un'aria di cultura ed eleganza. Oltre alle utili abbreviazioni i.e., e.g. ed etc., non vi è alcuna reale necessità delle centinaia di sintagmi stranieri attualmente correnti nella lingua inglese. I cattivi scrittori, e soprattutto quelli scientifici, politici e sociologici, sono quasi sempre perseguitati dalla nozione che le parole latine o greche siano più maestose di quelle sassoni e parole non necessarie come espedire, migliorare, predire, estraneo, sradicato, clandestino, subacqueo e centinaia di altre guadagnano costantemente terreno a scapito di quelle anglosassoni.6 Il gergo particolare della scrittura marxista (iena, boia, cannibale, piccolo borghese, questa gentry7, lacchè, servo, cane pazzo, Guardia Bianca8, ecc.) consistono in larga misura di parole tradotte9 dal russo, dal tedesco o dal francese; ma il modo normale di coniare una nuova parola è quello di usare la radice greca o latina con l'affisso appropriato e, quando necessario, con interventi sulla lunghezza. È spesso più facile inventare parole di questo tipo (deregionalizzare, inammissibile, extra-matrimoniale e così via) piuttosto che pensare a quali parole inglesi rendano ciò che si intende. Il risultato, in genere, è un aumento della sciatteria e della vaghezza.

Parole senza senso. In alcuni tipi di scrittura, in particolare nella critica d'arte e letteraria, è normale imbattersi in lunghi passaggi che mancano quasi completamente di significato.10 Parole come romantico, plastico, valori, umano, morto, sentimentale, naturale, vitalità, per come sono usati nella critica d'arte, sono strettamente insensate, nel senso che non solo non si riferiscono ad alcun oggetto conoscibile, ma difficilmente ci si aspetta che il lettore vi faccia riferimento. Quando un critico scrive “La caratteristica di spicco dell'opera di X è la sua qualità vivida”, mentre un altro scrive “La cosa che colpisce immediatamente dell'opera di X è il suo particolare esser morta”, il lettore li accetta come una semplice divergenza d'opinione. Se fossero utilizzate parole come bianco e nero, invece di parole gergali come morto e vivente, capirebbe in un attimo che la lingua è utilizzata in maniera impropria. Similmente, si abusa di molte parole della politica. La parola fascismo ad oggi non ha alcun significato, in quanto significa “qualcosa non desiderabile”. Le parole democrazia, socialismo, libertà, patriottico, realistico, giustizia hanno numerosi significati diversi che non si possono riconciliare gli uni con gli altri. Nel caso di una parola come democrazia, non solo non vi è una definizione condivisa, ma il tentativo di fornirne una viene contestata da tutte le parti. Si ha la sensazione quasi universale che quando diciamo che una nazione è democratica, la stiamo elogiando: di conseguenza, i difensori di qualsiasi tipo di regime sostengono che questo è una democrazia e temono di dover smettere di usare quella parola, se fosse legata a qualsiasi significato. Affermazioni come Il maresciallo Pétain era un vero patriota, La stampa sovietica è la più libera del mondo, La Chiesa Cattolica si oppone alle persecuzioni vengono quasi sempre enunciate con l'intento di ingannare. Altre parole usate con significati variabili, nella maggior parte dei casi in maniera più o meno disonesta, sono: classe, totalitario, scienza, progressista, reazionario, borghese, uguaglianza.

Ora che ho elencato questo catalogo di raggiri e perversioni, lasciatemi fornire un altro esempio di ciò a cui portano. Stavolta deve trattarsi per sua natura di un testo immaginario. Tradurrò un passaggio in buon inglese in inglese moderno del tipo peggiore. Ecco un famosissimo passo dall'Ecclesiaste:

Io mi sono rimesso a considerare che, sotto il sole, per correre non basta essere agili, né basta per combattere essere valorosi, né essere saggi per avere del pane, né essere intelligenti per avere delle ricchezze, né essere abili per ottenere favore; poiché tutti dipendono dal tempo e dalle circostanze.

Eccolo in lingua moderna:

Le considerazioni oggettive sui fenomeni contemporanei urgono alla conclusione che il successo o il fallimento nelle attività competitive non mostrano tendenza a poter essere commensurate con le capacità innate, ma che bisogna invariabilmente prendere in considerazione un considerevole elemento di imprevedibilità.

È una parodia, ma non una molto grossolana. L'esempio (3) qui sopra, ad esempio, contiene numerosi spezzoni della stessa tipologia di lingua. Ci si accorgerà che non ho fatto una traduzione completa. L'inizio e la fine della frase seguono il significato originale piuttosto da vicino, ma le illustrazioni concrete in mezzo (di corsa, battaglia, pane) si dissolvono nei sintagmi vaghi “il successo o il fallimento nelle attività competitive”. Doveva essere così, perché nessuno scrittore moderno del tipo di cui sto discutendo (nessuno in grado di usare sintagmi come “le considerazioni oggettive sui fenomeni contemporanei”) pianificherebbe mai i suoi pensieri in maniera così precisa e dettagliata. La tendenza predominante della prosa moderna è lontana dalla concretezza. Analizziamo queste due frasi un po' più da vicino. La prima contiene cinquanta parole, ma soltanto poco più di un centinaio di sillabe e tutte le sue parole provengono dalla vita quotidiana. La seconda contiene meno parole, ma più sillabe. La prima frase contiene sei immagini vivide e solo un sintagma (“dal tempo e dalle circostanze”) che si possa ritenere vago. La seconda non contiene un singolo sintagma fresco o notevole e, nonostante il maggior numero di sillabe, dà solo una versione abbreviata del significato contenuto nella prima. Eppure non vi è dubbio che sia il secondo tipo di frase a star guadagnando terreno nel linguaggio moderno. Non voglio esagerare. Questo tipo di scrittura non è ancora universale e degli affioramenti di semplicità compaiono qui e là nella pagina peggio scritta. Ma, se a uno di noi venisse chiesto di scrivere qualche riga sull'incertezza delle fortune umane, dovremmo probabilmente avvicinarci di più alla mia frase immaginaria, che a quella delle Ecclesiaste.

Come ho cercato di mostrare, la scrittura moderna, nelle sue vesti peggiori, non consiste nello scegliere parole in base al loro significato e inventare immagini per renderne più chiaro il significato. Consiste nell'incollare lunghe strisce di parole che sono state messe in ordine da qualcun altro e rendendo i risultati presentabili tramite un'evidente truffa. L'attrattiva di questo modo di scrivere risiede nella sua facilità. È più facile (persino più veloce, quando ci si fa l'abitudine) dire Secondo il mio parere, non è una supposizione ingiustificata che dire Credo che. Se si utilizzano sintagmi pronti all'uso non solo non si deve andare in cerca delle parole, ma non ci si deve nemmeno preoccupare del ritmo delle frasi, dal momento che tali sintagmi sono disposti in maniera tale da risultare più o meno armoniosi. Quando si compone di fretta (quando si detta a uno stenografo, ad esempio, o pronunciando un discorso pubblico) è naturale cadere in uno stile pretenzioso e latineggiante. Conclusioni come una considerazione che faremmo bene a tenere a mente o una conclusione con cui ognuno di noi concorderebbe prontamente risparmierà che molte frasi finiscano con un tonfo. Usando metafore, similitudini e modi di dire vecchi ci si risparmia uno sforzo mentale considerevole, al costo di lasciare vago il significato, non solo per il lettore, ma anche per se stessi. È questa l'importanza delle metafore miste. L'unico scopo di una metafora è di richiamare un'immagine visiva. Quando queste immagini cozzano (come in La piovra fascista ha cantato il proprio canto del cigno, lo stivalone è stato gettato nel crogiolo) si può dare per certo che lo scrittore non vede un'immagine mentale degli oggetti che sta menzionando: in altre parole, in realtà non pensa. Guardiamo di nuovo gli esempi che ho fornito all'inizio di questo saggio. Il professor Laski (1) usa cinque negazioni in cinquantadue parole. Uno di questi è superfluo, rendendo insensato l'intero passaggio e, inoltre, vi è un refuso (alieno invece di simile11) che lo rende ancora più insensato e vari esempi evitabili di goffaggine che ne aumentano la vaghezza generale. Il professor Hogben (2) gioca a rimpiattino con una batteria che è in grado di scrivere prescrizioni e, sebbene non approvi l'utilizzo comune di vedere rosso, non ha voglia di aprire il dizionario e cercarne il significato per sapere cosa significa; (3), se si assume un atteggiamento poco ben disposto nei suoi confronti, è semplicemente insensato: probabilmente è possibile ricostruirne il significato che l'autore intendeva dargli leggendo l'intero articolo in cui compare. In (4), l'autore sa più o meno cosa vuole dire, ma l'accumulo di sintagmi stantii lo soffoca, come foglie di tè nello scarico del lavandino. In (5), le parole e il significato hanno quasi preso strade diverse. Chi scrive in questo modo ha un significato emotivo generale (detestano qualcosa e vogliono esprimere solidarietà nei confronti di un'altra), ma non è interessato ai dettagli di ciò che dice. Uno scrittore scrupoloso si porrà, dopo ogni frase scritta, almeno quattro domande, ossia:

  1. Cosa voglio dire?
  2. Quali parole lo esprimono?
  3. Quale immagine o modo di dire lo renderà più chiaro?
  4. Quest'immagine è abbastanza nuova da avere effetto?

E probabilmente se ne porrà altre due:

Posso esprimerlo più in breve?
Ho detto qualcosa in un brutto stile che potevo evitare?

Ma non si è obbligati a porsi tutti questi problemi. Li si possono evitare aprendo semplicemente la mente e lasciare che venga affollata da formule già pronte. Esse costruiranno le vostre frasi per voi (e persino i vostri pensieri, fino a un certo punto) e se necessario eseguiranno l'importante servizio di nascondere parzialmente il significato persino a voi stessi. È a questo punto che la connessione speciale tra la politica e lo svilimento della lingua diviene chiaro.

Nella nostra epoca, è largamente vero che la scrittura politica sia una pessima scrittura. Quando ciò non è vero, si scoprirà generalmente che lo scrittore è un qualche tipo di ribelle che esprime le proprie opinioni personali e non una “linea di partito”. L'ortodossia, di qualunque colore essa sia, sembra domandare uno stile imitativo e smorto. I dialetti politici rinvenibili nei pamphlet, negli articoli di fondo, nei manifesti, nei libri bianchi e nei discorsi dei sottosegretari variano certamente da partito a partito, ma sono tutti accomunati dall'impossibilità di ritrovarvi una figura retorica fresca, vivida, originale. Quando si ascolta un vecchio ronzino che ripete meccanicamente le espressioni familiari sul palco del comizio, come atrocità bestiali, tallone di ferro, tirannia sanguinaria, i popoli liberi del mondo, stare spalla a spalla, si ha spesso la singolare sensazione di non stare osservando un essere umano, ma una specie di marionetta, sensazione che diviene improvvisamente più forte nei momenti in cui la luce viene riflessa dagli occhiali dell'oratore, tramutandoli in dischi vuoti che non sembrano avere degli occhi al di là di essi. E non si tratta nemmeno di lasciarsi prendere dalla fantasia: un oratore che usa quel tipo di fraseologia ha già intrapreso la strada verso il tramutarsi in una macchina. I suoni adatti provengono dalla laringe, ma il cervello non è coinvolto nella stessa misura in cui lo sarebbe se stesse scegliendo le parole da sé. Se il discorso che sta pronunciando gli è familiare a furia di averlo ripetuto in continuazione, potrebbe essere quasi inconsapevole di ciò che dice, come quando si pronunciano le risposte in chiesa. E tale stato di consapevolezza ridotta, seppur non indispensabile, è ad ogni modo favorevole alla conformità politica.

Nella nostra epoca, l'oratoria e la scrittura politica sono in larga misura la difesa dell'indifendibile. Cose come la continuazione della dominazione britannica in India, le purghe e le deportazioni russe, lo sgancio delle bombe atomiche sul Giappone possono sicuramente essere difese, ma solo tramite argomenti troppo brutali per poter essere affrontati dalla maggior parte delle persone e che non coincidono con gli scopi dichiarati dei partiti politici. Così, la lingua della politica deve consistere in larga parte di eufemismi, ragionamenti circolari e altre vaghezze belle e buone. Villaggi inermi vengono bombardati, gli abitanti scacciati nelle campagne, il bestiame ucciso a colpi di mitragliatrice, le capanne date alle fiamme con proiettili incendiari: si chiama pacificazione. Milioni di contadini vengono privati delle loro fattorie e costretti a divenire profughi, portando con sé solo ciò che sono in grado di trasportare a spalla: ciò è detto trasferimento di popolazione o rettificazione delle frontiere. La gente viene detenuta per anni senza processo, o giustiziata con un o sparo alla testa o condannata a morire di stenti in segherie nel circolo polare artico: si chiama eliminazione di elementi inaffidabili. Una tale fraseologia è necessaria se si vuole nominare qualcosa senza evocarne un'immagine mentale. Considerate ad esempio un agiato professore inglese che difende il totalitarismo russo. Non può ammettere candidamente “Credo che l'eliminazione fisica degli avversari sia un bene, se è possibile ottenerne un vantaggio”. Dunque, dirà probabilmente qualcosa del genere:

“Sebbene ammetta in tutta franchezza che il regime sovietico mostri alcune caratteristiche che gli umanitari possano essere inclini a deplorare, dobbiamo, ritengo, concordare sul fatto che una riduzione della destra all'opposizione politica sia una concomitanza inevitabile dei periodi transitori e che i rigori a cui il popolo russo è stato chiamato sono ampiamente giustificati nella sfera dei risultati concreti.”

Lo stile inflazionato è in sé un tipo di eufemismo. Una massa di parole forbite ricade sui fatti come neve soffice, sfocando i contorni e nascondendo tutti i dettagli. Il grande nemico della lingua chiara è l'insincerità. Quando vi è una separazione tra gli scopi reali e dichiarati, ci si rivolge come per istinto alle parole lunghe e ai modi di dire logori, come una seppia che sputa inchiostro. Nella nostra epoca non esiste qualcosa come “lo stare alla larga dalla politica”. Tutti i problemi sono problemi politici e la politica stessa è una massa di bugie, sotterfugi, follie, odio e schizofrenia. Quando l'atmosfera generale è guasta, la lingua deve soffrirne. Mi aspetterei di trovare (è questa una supposizione che le mie conoscenze non mi consentono di verificare) che la lingua tedesca, quella russa e quella italiana si siano deteriorate negli ultimi dieci o quindici anni, come risultato della dittatura.

Ma se il pensiero corrompe la lingua, anche la lingua può corrompere il pensiero. Un cattivo uso può diffondersi per tradizione e imitazione anche tra persone che dovrebbero saperne e ne sanno di più. La lingua degradata che ho discusso è talvolta molto conveniente. Sintagmi del tipo non è una supposizione ingiustificabile, lascia molto a desiderare, non condurrà a buon esito, una considerazione che faremmo bene a tenere a mente sono una tentazione continua, uno scatolo di aspirina sempre a portata di mano. Riscorrete questo saggio e sicuramente troverete che ho commesso in continuazione gli stessi errori contro cui protesto. Con la posta di stamane ho ricevuto un pamphlet sulle condizioni in Germania. L'autore mi scrive che si è “sentito il dovere” di scriverlo. L'ho aperto su una pagine a caso, ed ecco una delle prime frasi che ho visto: “[Gli Alleati] hanno non solo l'opportunità di ottenere una trasformazione radicale della struttura sociale e politica della Germania al fine di evitare una reazione nazionalistica nella Germania stessa, ma al contempo di porre le fondamenta di un'Europa cooperativa e unita”. Vedete, si “sente in dovere” di scrivere, ovvero sente, presumibilmente, di aver qualcosa di nuovo da dire, eppure le sue parole si raggruppano automaticamente in una triste formazione a loro familiare, come i cavalli allo squillo di tromba. L'invasione della mente di espressioni pronte all'uso (porre le fondamenta, ottenere una trasformazione radicale) si può evitare solamente se si è costantemente in guardia e ogni espressione del genere anestetizza una porzione del cervello.

Poco fa ho detto che la decadenza della lingua è probabilmente curabile. Coloro che lo negano sottolineerebbero (sempre che ne siano in grado) che una lingua non è altro che il riflesso di condizioni sociali esistenti e che non ne possiamo influenzare lo sviluppo smanettando direttamente con le parole e i costrutti. Per quel che riguarda il tono generale o lo spirito della lingua, ciò può essere vero, ma non è vero in dettaglio. È capitato spesso che sparissero espressioni e parole stupide, non grazie a un processo evolutivo, ma grazie all'azione consapevole di una minoranza. Due esempi recenti sono battere tutte le strade e non escludere nessuna possibilità, scomparse grazie alla derisione messa in atto da alcuni giornalisti. C'è una lunga lista di metafore inutili che potrebbero essere eliminate, se un numero sufficiente di persone si interessasse a tale compito e potrebbe essere anche possibile deridere l'esistenza stessa della formazione in in-, ridurre la quantità di latino e greco nella sentenza media ed eliminare espressioni straniere e parole scientifiche a sproposito e, più in generale, rendere la pretenziosità fuori moda. Ma tutti questi sono punti minori. La difesa della lingua inglese implica più di ciò ed è forse meglio iniziare col dire cosa ciò non implica.

Per iniziare, non ha nulla a che vedere con gli arcaismi, col salvataggio di parole e figure retoriche obsolete o con la creazione di un “inglese standard” da cui non allontanarsi mai. Al contrario, è necessario eliminare ogni parola o modo di dire che non siano più utili. Non ha nulla a che vedere con una grammatica e una sintassi corretta, che non hanno importanza, a patto che il significato sia chiaro, o l'evitare gli americanismi, o avere ciò che si chiama “un buono stile prosaico”. D'altro canto, non riguarda la finta semplicità o il tentativo di rendere l'inglese scritto più colloquiale. Né implica la preferenza della parola anglosassone a quella latina sempre e in ogni caso, sebbene implichi l'utilizzo di meno parole e parole più corte che possano esprimere il significato. Ciò che più di tutto è necessario è il lasciare che il significato scelga le parole, non il contrario. Nella prosa, la cosa peggiore che si possa fare con le parole è arrendersi ad esse. Quando si pensa a un oggetto concreto, l si fa senza le parole e poi, se si vuole descrivere la cosa che si è visualizzata, si va in cerca delle parole più adatte. Quando si pensa a qualcosa di astratto si è più inclini a usare le parole sin da subito e, a meno di non fare uno sforzo consapevole per evitarlo, il dialetto esistente irromperà, facendo il lavoro al posto dello scrittore, al costo di affievolire o persino cambiare il significato. È forse meglio rimandare l'uso delle parole il più a lungo possibile e rendere il significato più chiaro possibile tramite immagini e sensazioni. In seguito sarà possibile scegliere (e non semplicemente accettare) le espressioni che meglio rendono quel significato e poi fare il contrario; decidere quali impressioni è più probabile che le proprie parole evochino in un'altra persona. L'ultimo sforzo mentale elimina tutte le immagini vecchie o ambigue, tutte le espressioni prefabbricate, le ripetizioni inutili, le ipocrisie e, in generale, la vaghezza. Ma si può essere spesso in dubbio sull'effetto di una parola o di una espressione e c'è il bisogno di regole su cui poter fare affidamento quando l'istinto non basta. Credo che le seguenti regole coprano la maggior parte dei casi:

  1. Non usare mai una metafora, una similitudine o altre figure retoriche che si è soliti vedere sulla carta stampata;
  2. Non usare mai una parola lunga, se una breve è sufficiente;
  3. Se è possibile cancellare una parola, fallo sempre;
  4. Non usare mai la costruzione passiva, se è possibile usare quella attiva;
  5. Non usare mai un'espressione straniera, una parola scientifica o gergale se sei in grado di pensare al suo equivalente in inglese corrente;
  6. Infrangi queste regole prima di dire qualcosa di apertamente barbaro.

Queste regole sembrano elementari perché lo sono, ma richiedono un profondo cambiamento di atteggiamento in chiunque si sia abituato a scrivere nello stile che oggi va di moda. È possibile attenersi a tutte loro, ma scrivere comunque male, ma non è possibile scrivere cose del tipo che ho citato in quei cinque esemplari all'inizio di questo articolo.

Non ho considerato l'uso letterario della lingua, ma solo la lingua come strumento per esprimere il pensiero, non per nasconderlo o impedirlo. Stuart Chase e altri sono giunti vicino all'affermare che tutte le parole astratte non hanno significato e l'hanno usato come pretesto per sostenere un tipo di quietismo politico. Dal momento che non sapete cosa sia il fascismo, come lo si può combattere? Non c'è bisogno di ingoiare assurdità del genere, ma bisogna riconoscere che l'attuale caos politico è connesso al decadimento della lingua e che è probabilmente possibile apportare dei miglioramenti a partire dalla lingua. Se si semplifica l'inglese si è liberi dalle peggiori follie dell'ortodossia. Non si è in grado di parlare nessuno dei dialetti necessari e quando si fa un'affermazione stupida, la sua stupidità sarà ovvia persino a se stessi. Il linguaggio politico (e con variazioni vere per tutti i partiti politici, dai conservatori agli anarchici) ha come intento quello di rendere le bugie verosimili e l'assassinio rispettabile, oltre che a dare una parvenza di solidità a una capanna di giunchi. Non è possibile cambiare tutto ciò in un momento, ma è per lo meno possibile cambiare le proprie abitudini e, di tanto in tanto, è persino possibile, se lo si deride abbastanza forte, buttare qualche espressione consunta e inutile (come stivalone, tallone d'Achille, vespaio, crogiolo, prova decisiva, vero inferno o altri tipi di rifiuti verbali) nella spazzatura, dov'è giusto che finiscano.

George Orwell

1 Ho preferito sostituire i phrasal verbs presenti nell'originale con dei modi di dire (in realtà, dei verbi sintagmatici) più semplici da comprendere per il lettore italiano (NdT).
2 Ho elencato qui solo le espressioni idiomatiche traducibili in italiano (NdT).
3 Questo è uno dei modi di dire che non è possibile tradurre in italiano. Toe the line significa conformarsi e deriva dall'abitudine, prima della partenza delle corse ippiche, di spostare lo zoccolo del cavallo appena prima della linea di partenza (ricordiamo che le zampe del cavallo hanno un solo dito, ecco perché toe).
4 Sincronizzazione (NdT).
5 Ideologia (NdT).
6 Un'interessante prova di ciò è il modo in cui i nomi dei fiori in inglese, in uso fino a poco tempo fa, stanno venendo soppiantati da quelli greci. La Bocca di Leone (Snapdragon) diventa l'antirrhinum, i non-ti-scordar-di-me (forget-me-not) diventano myosotis, ecc. È difficile riscontrare qualunque motivo pratico in tale cambiamento di uso: è probabilmente dovuto a un istintivo ritrarsi dalla parola più familiare e a una vaga sensazione che la parola greca sia più scientifica. (NdA)
7 La gentry è la piccola aristocrazia rurale. In questo caso, ci si riferiva spregiativamente ai borghesi in maniera non particolarmente velata (NdT).
8 La Guardia Bianca è il titolo di un romanzo di Mikhail Bulgakhov, scrittore ucraino di lingua russa. L'Armata Bianca era l'esercito fedele allo zar che combatté contro i rivoluzionari durante la Rivoluzione d'Ottobre, così chiamata per il colore delle proprie divise (NdT).
9 In realtà si tratta di calchi semantici (NdT).
10 Esempio:
   Col conforto della cattolicità della percezione e dell'immagine, stranamente di gamma Whitmanesca, quasi l'esatto opposto in compulsione estetica, continua ad evocare quel suggerire accumulativo, atmosferico e tremante, a una atemporalità crudele, inesorabilmente serena... Wrey Gardiner mette a segno, mirando a semplici bersagli con precisione. Solo che non sono molto semplici, e attraverso questa tristezza scorre più della superficiale rassegnazione agrodolce.
Trimestrale di Poesia
11 Laski scrive “alien” invece di “akin”. (NdT)

venerdì 11 aprile 2014

lunedì 7 aprile 2014

Actual Sunlight

Actual Sunlight ha superato la fase di Greenlight su Steam e adesso è disponibile per il download in versione multilingua in inglese, italiano, francese, spagnolo e portoghese (brasiliano).
Non si tratta di un RPG, né di un gioco di avventura: è una breve storia interattiva che, a detta dell’autore, tratta di amore, di depressione e della corporation.
Recensito da Andrea Rubbini su Multiplayer.it e da Francesco Ursino su Spaziogames.it, il titolo ha ricevuto un voto di 8.0/10 e 7.5/10, rispettivamente. Entrambe le recensioni, però, lamentavano l’assenza di una localizzazione in italiano.
Non nascondo di sperare che i due autori ritornino su queste recensioni e diano un parere sulla qualità della localizzazione. Come si suol dire, so’ soddisfazioni.
Nel frattempo, è possibile acquistarlo su Desura o su Steam, dove è attualmente scontato del 10%.


Actual Sunlight

venerdì 4 aprile 2014

Della stagnazione culturale

Da Mark Twain, The Adventures of Tom Sawyer (1884)
Era una di quelle persone infatuate delle medicine alternative e tutti i più recenti metodi di produrre salute o di rimettersi. In queste cose era una sperimentatrice inveterata. Quando vi era una novità in questo campo era febbrile, da subito, ad desiderio di provarla; non su di lei, dal momento che non stava mai male, ma su chiunque le si trovasse a tiro. Era abbonata a tutti i periodici sulla “Salute” e alle frodi frenologiche e pendeva dalle labbra dell’ignoranza di cui erano pieni. Tutto il “marciume” che contenevano riguardo la ventilazione, come andare a letto, come alzarsi, cosa mangiare, cosa bere, quanto esercizio fare, che stato d’animo avere per tenersi in salute e che tipi di abiti indossare erano il suo vangelo e non le importava che le riviste sulla salute di quel mese contraddicevano abitualmente tutto ciò che avevano raccomandato il mese prima.

Da Herbert George Wells, Ann Veronica (1909)
“Noi siamo la specie,” disse Miss Miniver, “gli uomini sono solo avvenimenti. Si danno delle arie, ma è così. In tutte le specie animali le femmine sono più importanti dei maschi; sono i maschi a dover soddisfare loro. Guarda le penne dei pavoni, guarda la competizione che c'è ovunque, tranne che tra gli umani. I cervi e i buoi e tutti gli altri che devono lottare per averci, ovunque. Solo nel genere umano è il maschio a essere reso più importante. E ciò avviene per mezzo della maternità; è la nostra stessa importanza che ci degrada. Mentre ci occupavamo dei bambini, ci hanno derubato dei nostri diritti e delle nostre libertà. I bambini ci hanno rese schiave e gli uomini se ne sono approfittati. È, come dice Mrs. Shalford, l'accidentale che conquista l'essenziale. In origine, tra i primi animali non vi erano maschi, proprio nessuno. È dimostrato. È allora che loro compaiono tra gli esseri inferiori” fece dei gesti meticolosi per raffigurare la scala della vita; sembrava che stesse reggendo in mano degli esemplari e li osservasse attraverso gli occhiali, “tra i crostacei e animali simili, solo come piccole creature, infinitamente inferiori alle femmine. Nient'altro che parassiti. Cose di cui si riderebbe. E anche tra gli esseri umani, le donne erano inizialmente regnanti e capi; possedevano tutte le proprietà, hanno inventato tutte le arti. Il governo primitivo era il Matriarcato. Il Matriarcato! I Signori della Creazione si limitavano a fare i facchini e ciò che gli veniva detto.”
“Ma è davvero così?” chiese Ann Veronica.
“È stato dimostrato,” disse Miss Miniver, aggiungendo poi “da professori americani.”
“Ma come l'anno dimostrato?”
“Con la scienza,” disse Miss Miniver e continuò di fretta, mostrando una mano retorica che lasciava intravedere una fetta di dita attraverso il guanto. “E ora, guardiamoci! Guardiamo cosa siamo diventate. Giocattoli! Inezie delicate! Un sesso di invalidi. Siamo noi ad essere diventate i parassiti e i giocattoli.”


Considerato che anche oggi ci sono persone che fanno ragionamenti del genere, credo che sia doveroso parlare di stagnazione culturale.

martedì 25 marzo 2014

Piccole miserie

Credo di aver preso coscienza di quale sia il più grande problema di questo mondo. La rivelazione mi è giunta nello stesso modo in cui giungono tutte le rivelazioni: l’Arcangelo Antanaele in persona mi è apparso in sogno (o era forse una crisi mistica?), disvelando a me, umile servo del Suo Potere, gli arcani segreti.
E quale sarà mai questa minaccia incombente?
Il riscaldamento globale? La sovrappopolazione? Gli sprechi? La modernità che ci priva financo degli ultimi bricioli di umanità? O forse stai parlando di chi mette la virgola tra soggetto e predicato?
No, signori. Peggio, molto peggio. Anche se devo ammettere che chi mette virgole a cazzo lo strozzerei volentieri.
Allora sarà il signoraggio bancario? Gli sciikimiki? I troll pakati dal Piddìexpiùomenoelleskizzidimmerda? Il NWO? I poteri occulti? Il downtime di Whatsapp che ha causato retroattivamente la morte di Vespucci e Warhol e la clonazione della pecora Dolly, spingendo Einstein a coniare la celeberrima (ma neanche poi tanto) espressione “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”?
No, no, no e ancora no. E se qualcuno pensa davvero che queste cose esistano davvero merita il premio Babbione d’Oro o un TSO. A scelta.
No, signori miei. Il più grande problema della nostra epoca è costituito dagli esseri inanimati senzienti. Un grande, grandissimo problema del nostro tempo che rischia di avere effetti a catena potenzialmente distruttivi per la nostra civiltà.
Intendi dire che un giorno o l’altro i computer saranno talmente complessi da prendere coscienza e ribellarsi contro il genere umano?
Uhm… C’era un film che parlava di queste cose si chiamava Terminator. E comunque no.
Mi riferisco ad oggetti molto più piccoli e per certi versi insignificanti di un computer.
Le penne BIC.
Giuro, quelle cose sono il male. Il male incarnato. Se esiste qualcosa anche di solo assimilabile all’Anticristo, questo è il prototipo (de Saussure direbbe “il significato”) della penna BIC.
Perché ormai sono giunto alla conclusione, anche grazie al palesamento ad opera di Antanaele, che le penne BIC abbiano coscienza di sé e del mondo che le circonda.
Segue una breve lista di motivi per cui ritengo ciò:
a)      La penna BIC sa, in qualche modo, che hai bisogno di scrivere qualcosa urgentemente e si comporterà di conseguenza, decidendo di non funzionare (nel migliore dei casi) o di fare le bizze (nel peggiore);
b)     La penna BIC decide di celare la propria indole perfida e vigliacca dietro un fusto in plastica trasparente. Così magari pensi: “dai, è talmente buona che non ha nulla da nascondere!” Illuso;
c)      La penna BIC complotta contro di te. E non puoi farci nulla. E un bel giorno ti ucciderà. Più o meno.

È per questo motivo che ho deciso che al più presto comprerò una stilografica.

giovedì 6 marzo 2014

Ma che celerità

La traduzione è di giorno due: oggi alle 6:30 era disponibile l'aggiornamento.
Canonical sembra essere più efficiente del KGB.

mercoledì 5 marzo 2014

MATE, l'ambiente desktop leggero

MATE è davvero un ottimo desktop environment per Linux: è leggero, veloce e stabile. Sfortunatamente non è presente nelle repository standard di Ubuntu, quindi la sua installazione può risultare un tantino ostica per i non avvezzi.
Interrogare apt-cache non aiuterà, visto che digitando
apt-cache search mate
restituirà quello che immagino sia un lungo poema in longobardo.

sabato 1 marzo 2014

Alternative a Ubuntu Software Center

Ho notato che una delle parole chiave con cui diverse persone sono arrivate nel mio blog è “ubuntu software center è lentissimo”. Credo che sia doveroso dar loro una risposta ai loro problemi.
So da me quanto il software center di questa distribuzione possa essere pesante su hardware datato: io stesso ho installato Ubuntu su un desktop del 2006 con processore Pentium 4 3 GHz e 512 MB di RAM.
In poche parole, usare Linux su quel computer è stato un incubo: i tempi di boot erano sì più rapidi che quelli di Windows XP, ma non di molto, aprire un programma richiedeva eoni, e così via.
Alla fine ero talmente disperato che le avevo provate tutte, tra cui quella di provare LXDE: da qui ha avuto origine una mia precedente guida.
Ma questa è un'altra storia.

I due software center alternativi che prenderemo oggi in considerazione sono Muon Discover e App Grid. Il primo è il software center standard di Kubuntu, una derivativa di Ubuntu che mira a essere il più user friendly possibile. Tra le altre caratteristiche, utilizza KDE come ambiente desktop, che risulta più familiare a chi ha appena migrato da Windows.
Il secondo nasce come software center alternativo a quello standard fornito da Canonical. Utilizza le librerie Python più recenti e ha tempi di caricamento decisamente più rapidi di quelli di Ubuntu Software Center. Inoltre, è perfettamente integrato con Ubuntu One, quindi è possibile installare anche app a pagamento o app che, pur non essendo a pagamento, richiedono un account Ubuntu One (come nel caso di Steam).

Muon Discover, presente nelle repository standard di Ubuntu, è installabile tramite Software Center o tramite il comando:
sudo apt-get install muon-discover

Sin da subito salta all'occhio che MD è pensato per integrarsi al meglio con l'ambiente desktop KDE. Il suo aspetto non stona moltissimo con quello del resto dell'interfaccia Unity, soprattutto al confronto con altri programmi pensati per KDE, come Kate. Le applicazioni, diversamente da Ubuntu Software Center, sono disposte in rettangoli che contengono l'icona del programma stesso, uno screenshot (se disponibile) e il nome. Al passaggio col mouse il rettangolo visualizzerà la descrizione del programma e la valutazione espressa in stelle. Graficamente è piacevole, ma lo scrolling non mi convince più di tanto. Forse è perché sono abituato a uno scrolling più netto, mentre quello di Muon Discover è più dolce, ma mi sembra che quando smetto di scorrere con la rotellina del mouse, la barra continui per qualche decimo di secondo in più del solito.
Ho notato inoltre che talvolta il programma sembra bloccarsi per qualche secondo, per poi riprendere a funzionare normalmente. Non ho idea di cosa succederebbe su hardware più datato: il programma potrebbe freezare completamente, oppure no.

App Grid, d'altro canto, è un universo a sé stante. È essenzialmente una versione migliorata e limata del Software Center di Ubuntu, molto più rapida, leggera e user friendly, tanto che non mi stupirei se Canonical decidesse di renderlo il software center standard di una versione successiva di Ubuntu (no, purtroppo Trusty Tahr avrà sempre il solito Ubuntu Software Center, almeno a giudicare dalla build giornaliera che ho scaricato giovedì scorso.
Purtroppo, non è presente nelle repository standard di Ubuntu, quindi sarà necessario usare il terminale. Aprite una nuova finestra usando la combinazione Ctrl+Alt+T e digitate:
sudo add-apt-repository ppa:appgrid/stable
Vi verrà chiesto di premere Invio per continuare o C per annullare. In caso premeste Invio (e sì che lo farete) dovrete poi digitare:
sudo apt-get update
Al termine, potrete finalmente digitare il comando:
sudo apt-get install appgrid
L'installazione è veramente minuscola (solo 600 KB). Una volta completata, sarà possibile avviare il programma da linea di comando (digitando appgrid nel terminale) o tramite GUI.

 Una piccola nota va spesa riguardo la localizzazione di App Grid: la maggior parte delle stringhe è già tradotta nella nostra lingua. Quelle mancanti (circa un centinaio) le ho caricate io stesso oggi su Launchpad, quindi sarà necessario aspettare alcuni giorni prima di vedere App Grid interamente tradotto in italiano. Per il resto, funziona benissimo e senza intoppi.