mercoledì 29 gennaio 2014

Secondo amore

Giorno dopo giorno
non è cambiato nulla, sei distante.
Ma voglio che tu sappia che non riesco più a dormire
di notte.
Notte dopo notte
le stelle splendono, così luminose,
nonostante il nostro dolore sia più grande dell'Universo, stanotte.

Voglio che tu sappia che non riesco più a dormire
di notte,
di notte.
Giorno dopo giorno voglio che tu dica
che sei mia.
Sei mia.

Anno dopo anno,
lacrima dopo lacrima
sento che il cuore mi si spezzerà in due.
Sei giunta come un vento da cui non potevo ripararmi,
mi hai tagliato il cuore così in profondità
che le cicatrici non saneranno.

Non crederò mai più nell'amore
dopo questo,
dopo questo.
Non si può mai cambiare o sostituire
ciò che abbiamo perduto,
ciò che abbiamo perduto.

Tempo dopo tempo,
spreco il mio tempo
a vivere in un passato in cui ero forte.
Ma adesso sono scomparso,
non ho ombra quando sono solo.
Rimarrò per sempre nei miei sogni, in cui mi sei vicina.

Voglio che tu sappia che non dormo più
di notte,
di notte.
Giorno dopo giorno voglio che tu mi dica
che sei mia.

Sei mia.

martedì 28 gennaio 2014

[RECENSIONE] Animalismo Diversamente


A volte, navigando su Internet ci si imbatte nei cosiddetti “giveaway”, un metodo pubblicitario che consiste nel dare gratuitamente, per un tempo limitato o in numero limitato, alcuni beni digitali al fine di promuovere la propria opera. Sul gruppo di Facebook A Favore della Sperimentazione Animale era disponibile gratuitamente per 24 ore Animalismo Diversamente, l'ultimo libro di Renato Massa, che fino al 2009 era Ordinario di Biologia Animale e Conservazione della Fauna presso l'Università di Milano.

lunedì 27 gennaio 2014

Neologismi

Si sente parlare spesso di “neologismi”, un po' come se il cambiamento linguistico fosse una prerogativa dei giorni nostri e prima di adesso le lingue non si fossero mai evolute. Questo atteggiamento da parte sia dei media che dei parlanti può essere spiegato attraverso una serie di fatti oggettivi, quali:
  • l'estremo conservativismo dell'italiano scritto, che almeno fino all'Ottocento è stata una lingua particolarmente statica;
  • il conservatorismo linguistico (e per certi aspetti anche grafico) della stampa, in particolar modo quella quotidiana locale, che porta spesso all'utilizzo di termini desueti (un esempio qui) e all'abuso del virgolettato anche in contesti che non lo richiederebbero, fino al punto «in» «cui» «ogni» «singola» «parola» «è» «tra» «virgolette»;
  • la scarsa consapevolezza, per non dire competenza, linguistica e metalinguistica dei parlanti, che portano a delle perle del tipo “l'italiano è la lingua degli angeli” e “le lingue straniere sono bbbbrutteh” (semicit.), oltre che al sempreverde servizio di Carlotta Mannu per il TG1, doverosamente perculato da Giornalettismo.

Ci siamo però mai chiesti cosa sia, obiettivamente, un neologismo? Stando all'Oxford Concise Dictionary, esso è “una parola o un'espressione coniata di recente”, mentre il Vocabolario Treccani dà una definizione più articolata:

Neologismo s. m. [dal fr. néologisme, comp. di néo- «neo-» e gr. λόγος«parola», col suff. –isme «-ismo»]. – In genere, parola o locuzione nuova, non appartenente cioè al corpo lessicale di una lingua, tratta per derivazione o composizione da parole già in uso (per es., modellismo, servosterzo), o introdotta con adattamenti da altra lingua (per es., informatica, dal fr. Informatique e ingl. informatics, o guerra lampo, dal ted. Blitzkrieg; ma in questi casi si parla più spesso di «prestito» o «calco»), oppure formata con elementi greci o latini (e sono di questo tipo la maggior parte dei neologismi tecnici, scientifici e d’altri linguaggi settoriali, che vengono quotidianamente coniati nelle varie lingue di cultura); la creazione di neologismi risponde alla necessità di esprimere concetti nuovi, di denominare o qualificare nuove cose e istituzioni, ma può essere anche opera di singoli individui. Costituisce neologismo anche l’aggiunta di un significato nuovo a parola già esistente; si parla allora di n. semantico, per distinzione dagli altri, che sono detti n. lessicali (e talora, quando l’innovazione consiste in sintagmi più o meno complessi anziché in parole singole, n. sintattici).

L'Accademia della Crusca dà una descrizione più stringata:

  • Parole apparse per la prima volta in anni molto recenti;
  • Parole preesistenti ma che hanno subito negli stessi anni un mutamento semantico o un forte rilancio nell'uso pubblico.

Come si nota, nessuna di queste fonti, pur autorevoli, dà riferimenti cronologici espliciti in base ai quali classificare una parola come neologismo o meno. Capita dunque che qualcuno consideri neologismi termini ormai cementificati nel lessico dell'italiano come “chat” o “email”, anche se entrambi sono ormai di uso comunissimo ed “email” è attestato per la prima volta (in inglese) nel 1982 (qui l'etimologia), mentre il sintagma “electronic mail” esiste dal '77.
D'altronde, come sottolinea anche il dizionario Oxford, il termine in inglese esiste sin dal xix secolo, come prestito dal francese neologisme e nel Dizionario Etimologico di Ottorini (pubblicato nel 1907), compaiono sia neologismo che neologia. Quindi, un po' paradossalmente, neologismo non è un neologismo. E non lo sono nemmeno tanti di quei termini che vengono comunemente definiti tali.

A onor del vero, nel suo manuale di Morfologia, Anna Maria Thornton sostiene che “[…] nuovi lessemi di una lingua vengono creati continuamente, ogni giorno” e presenta, a sostegno di questa affermazione, uno studio condotto da Harald Baayen e Antoinette Renouf che illustra la produttività di alcuni affissi (prefissi e suffissi) in un corpus costituito da articoli del Times pubblicati tra il 1989 e il 1992. Il saggio di Baayen e Renouf sottolinea come “la funzione della formazione di lessemi è quella di esprimere (particolari sfumature di) significato, piuttosto che, semplicemente, produrre forme dotate di una particolare struttura”.


Questa affermazione merita una riflessione aggiuntiva: se la creazione di nuovi lessemi (parole) serve a esprimere significati, allora non è possibile (o quantomeno è molto difficile) dire quante parole sono presenti in una lingua. Certamente, esistono alcune radici e alcune desinenze che non danno origine a nuove parole, oppure lo fanno molto raramente, cioè che non sono più produttive. Pensiamo ad esempio al plurale in -ini: se chiediamo a qualunque persona di elencare tutte le parole che conoscono che hanno il plurale in -ini, la maggior parte risponderà che ne esiste solo una (uomini), alcuni che ne esistono due (uomini e viragini). Questo significa che la formazione del plurale in -ini non è più produttiva; le parole che formano il plurale con questo suffisso non sono destinate ad aumentare, semmai a diminuire, tant'è vero che “virago” viene usato (quelle poche volte che lo si utilizza) come invariabile in numero. Esistono poi anche intere classi di parole che non aumentano in numero: le preposizioni, le congiunzioni, alcuni tipi di avverbi. Queste parole vengono definite “parole vuote”, prive cioè di significato semantico (hanno però significato sintattico e logico) o function words. Infine, ci sono alcune classi di parole il numero dei cui componenti aumenta costantemente. È questo il caso delle cosiddette “parole piene” o content words, quelle che possiedono un significato semantico, come i sostantivi, gli aggettivi, i verbi. A queste categorie si aggiungono alcuni avverbi qualificativi (o di modo) che vengono formati per derivazione del tipo radice + mente. Questa regola di formazione delle parole era nuova agli albori della lingua italiana, dal momento che deriva dalla diffusione, nella tarda latinità, di locuzioni del tipo laeta mens “con animo sereno”, ma adesso è usata stabilmente per generare nuovi avverbi.

venerdì 10 gennaio 2014

[GUIDA] Organizzare la posta con Thunderbird

Diciamocelo chiaramente: le email di notifica possono essere un'enorme scocciatura, specie se in mezzo al miliardo di posta-spazzatura le email veramente importanti finiscono per passare inosservate. Certo, i filtri automatici di molti provider di posta elettronica filtrano tutti o quasi i messaggi che possono risultare dannosi per il sistema, ma le notifiche di per sé non sono dannose: sono semplicemente irritanti.
Per fortuna, Thunderbird consente di effettuare automaticamente determinate operazioni sulla posta in entrata, come ad esempio spostare nel cestino (o in un'apposita cartella) le email di un determinato mittente.

Per far sì che il client di posta elettronica filtri automaticamente le email che non vogliamo avere sempre tra i piedi è necessario seguire i seguenti passi:

  1. Create una nuova cartella (può essere sia dell'account che locale);
  2. Aprite il menu delle opzioni di Thunderbird (in alto a destra) e cliccate su “Filtri;
    In alternativa è possibile premere Alt per far comparire la barra degli strumenti e selezionare “Filtri” nel menu “Strumenti”;
  3. Nella finestra che comparirà, cliccare su “Nuovo”;
  4. (Opzionale) Assegnate un nome al filtro;
  5. Spuntate la casella “Soddisfano anche solo una condizione”;
  6. Sostituite “Oggetto” con “Mittente” e inserite un dominio di posta elettronica che intendete spostare automaticamente, nel mio caso “@facebook.com”;
  7. (Opzionale) Aggiungete un altro mittente, cliccando sul pulsante col simbolo “+” e ripetete i punti 5 e 6;
  8. Selezionate la cartella in cui intendete spostare i messaggi di quel mittente;
  9. Cliccate su “Ok”.


Certo, un'operazione del genere richiede un po' di tempo, ma pian piano la casella di posta elettronica sarà meno piena di robaccia inutile.

Sperimentazione Animale


Non fa lo stesso effetto quando nell'immagine non c'è un animaletto puccioso, nevvero?

giovedì 9 gennaio 2014

TSVOMPT

No, non ho dato una capocciata alla tastiera e non sto nemmeno citando una canzone degli Elii. Se avete prestato attenzione alle lezioni di inglese durante le superiori avrete forse sentito il professore usare questa “parola”. Si tratta di una sigla (anche se è più corretto chiamarla “inizialismo”) che viene usata come mnemonico nell'insegnamento dell'inglese per memorizzare la struttura della frase.

Time – Subject – Verb – Object – Mode – Place – Time
ovvero
Tempo – Soggetto – Verbo – Oggetto – Modo – Luogo – Tempo

TSVOMPT è in realtà una “estensione” della sigla SVO, Soggetto-Verbo-Oggetto, adattata alla lingua inglese. In tipologia linguistica SVO sta ad indicare una lingua in cui la costruzione della frase semplice segue nella maggior parte delle volte l'ordine Soggetto-Verbo-Oggetto (e in seguito vedremo perché è il più delle volte e non sempre).
Nelle lingue del mondo sono attestati tutti e sei gli ordini possibili, con questa distribuzione (secondo Tomlin, 1986):
  1. Lingue SOV (44,78%);
  2. Lingue SVO (41,79%);
  3. Lingue VSO (9,2%);
  4. Lingue VOS (2,99%);
  5. Lingue OVS (1,24%);
  6. Lingue OSV (<1 p="">

Da sole, le lingue SOV ed SVO costituiscono l'85% delle lingue parlate nel mondo. È però vero che altre ricerche (Mallinson & Blake, 1981) sono pervenute a risultati lievemente diversi, dal momento che Mallinson e Blake hanno usato un criterio di classificazione differente da quello di Tomlin. In particolare, l'11% delle lingue considerate veniva etichettata come “non classificato” e il 7% come “altro” (vedere qui per approfondimenti).

Ovviamente, in diacronia (ovvero nel corso del tempo) le lingue possono cambiare l'ordine delle parole “standard”: è questo il caso che si è verificato nel passaggio dal latino al toscano (e dunque, a partire dal Cinquecento, all'italiano). Il latino, infatti, pur consentendo qualsiasi ordine delle parole, utilizzava estensivamente l'ordine SOV, che si è conservato fino ai giorni nostri nel siciliano, ma non in italiano (Marazzini, 2010). Vi siete mai chiesti perché nei romanzi (e anche nei film) del Commissario Montalbano, il protagonista si presenta dicendo “Montalbano sono”. Ecco, ora lo sapete. Se però il siciliano è più conservativo rispetto alla sintassi latina, lo stesso non si può dire, ad esempio, del suo sistema fonologico: il vocalismo in sillaba atona a tre fonemi (a, i, u) potrebbe essersi originato dalla sovrapposizione dell'isoglossa dell'arabo a quella del siciliano.
Anche l'italiano, però, in alcuni casi può fare a meno dell'ordine SVO, in particolare quando c'è il bisogno di mettere in risalto un componente che non sia il soggetto, la cosiddetta “sintassi marcata”.(Bonomi, in Bonomi, Masini, et al., 2010). È il caso delle dislocazioni a sinistra e a destra. La prima si ha quando un elemento che dovrebbe trovarsi in fondo alla frase (il tema), in particolare un complemento oggetto, ma anche un complemento indiretto, un partitivo o un'intera proposizione, viene posizionato all'inizio.

Esempi:
(1) Nessuno parla più l'italiano. → L'italiano non lo parla più nessuno.
(2) Non ho problemi. → Problemi non ne ho.

Tale tipo di dislocazione serve a porre maggior enfasi sull'oggetto della frase, piuttosto che sul suo soggetto.

La dislocazione a destra, invece, avviene quando il soggetto viene spostato in fondo alla frase e in posizione iniziale viene inserito un pronome cataforico (che si riferisce cioè a qualcosa posizionata in seguito.

Esempio:
(3) (Tu) hai i biglietti, vero? → Li hai tu i biglietti, vero?


La dislocazione a destra consente di porre maggior enfasi sul verbo.